ci lasciamo alle spalle ottomilasettecentosessantanove ore
le mangiamo voracemente
tralasciando la raccolta differenziata con incalcolabile piacere
siamo nebbia che mangia l’ orizzonte
in nottate così padane da farci schifo
che ci riflettiamo nelle vetrine delle butìc infrante da troppi malcontenti
che non siamo mai stati contenti
tu che se fossimo a napoli butteresti giù me dal balcone
io che ti riserverei l’ ultima pallottola dell’ ultimo caricatore dell’ ultima pistola non ancora sequestrata
noi che siamo durati quanto una carta incendiata
per lobotomizzarci i cuori augurandosi buon anno
lasciamoci soltanto distese di buio fuori dalla porta
e botti inesplosi tra le lenzuola
ammiriamoci da un nono piano qualsiasi
ora che siamo necropoli sottovetro
barattati con parcheggi interrati a pagamento
in pieno centro
e il partenone di bussolengo che andrebbe raso al suolo
come i nostri entusiasmi
come i campi rom
come il tuo guardaroba
che è una grande consolazione a quattro ante
e andiamo a toglierci il fiato sulle ande
come quando giravamo per casa con l’ afa insopportabile
che avevamo l’ equatore sul terrazzo
in cerca di sigarette e dissetanti
che ci sentivamo obesi
solamente in mutande
che ci sembravamo in prima serata a tirare su l’ audience
e la mattina c' era la luce del sole che vivisezionava le serrande
illuminando il rimpianto del non poterti vedere grande
perché siamo un aborto spontaneo
come la notte di capodanno in cui con una pisciata sulla neve ti ho scritto “ti amo”
eravamo così squattrinati che i fuochi d’ artificio in piazza li abbiamo visti in bianco e nero
ed era bello tenerti la fronte mentre in tangenziale vomitavi un arcobaleno
era bello per davvero.