UNA FORMA DI RESISTENZA COME TANTE ALTRE

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venerdì 29 gennaio 2010


a quanto pare uno dei miei ristretti e depressi racconti è finito in un libro per la precisione nell' antologia di giovani scrittori CRONACHE DAGLI ANNI ZERO per giulio perrone editore e potete trovarlo e ordinarlo a questo link http://perronelab.it/node/281 altrimenti da marzo noi autori vari gireremo l' italia in compagnia dei due promotori del progetto enos rota e raffaele mozzillo per cose che assomigliano a conferenze e reading in bar librerie circoli di ogni genere e potrete comprarlo là io terrò aggiornati i pochi presenti quando saprò qualcosa di più ma non credo.

grazie.

lunedì 4 gennaio 2010

non mi tornano i conti perché sei il mio valore aggiunto (botte cerebrali di capodanno)

vedersi con il contagocce come fossimo una medicina

anche se poi muoriamo

allevando tumori

alleviando timori

siamo i più intelligenti animali domestici

ma in volo dal secondo piano non sopravviviamo

voglio andare a vivere in zona industriale dove i rifiuti li posso gettare nel giardino del vicino

che è la autodemolizioni più grande della regione

che è la gelosia più grande della ragione

come il mare che ti ho portato in pianura

dici che l’ amore è semplicemente fidarsi

dico che l’ amore è difficilmente fidarsi

dici che sono solo problemi miei

il confondere l’ amore con la vita

dico che abbiamo tempo

il sole non ci darà problemi per almeno un miliardo di anni

e adesso spogliati

di ciò che ti mette ansia e anche di qualche vestito non mi farebbe schifo

ho dentro più ricordi che se avessi mille anni

proiettiamoli in soggiorno questa sera

guardiamoli da lontano

come la mostra di hopper a milano

speravamo di vedere i nottambuli

in ognuno di noi

e la fine dignitosa di che guevara ci ricorda un personaggio di jack london

poi il libro di poesie di cortazar che mi hai regalato

in lingua originale

dovresti esserci tu prima di addormentarmi

lo leggo e non ci capisco nulla

un po’ come amare soltanto di pancia

rimandarsi a settembre e poi andare a lavorare

è il quarto comandamento il nostro inverno contento

cercando con forza il licenziamento per preservare quello che ci resta della libertà

di scegliere quando non vederci

di scegliere quando salvare il mondo noi che non sappiamo nemmeno prepararci il pranzo

salto un turno

mentre tu avanzi di uno sulla casella di questo gioco in scatola che è il diventare grandi

che sei sempre in treno

mi sfuggi tra i binari

buttarsi sotto per rallentarti

che sei sempre in macchina

ti nascondi negli autogrill

comprare tutte le strade per portarti a me

gli automobilisti accaldati senza storia sono ancora in colonna da ferragosto

con i vigili urbani congelati

i pronto soccorso addobbati

sono rimasti solo i vendirose a dirigere il traffico ai semafori

la nostra città è una serie infinita di serrande

non è colpa solo del lunedì

è colpa di chi fa l’ amore

per dimenticarti

in diciannove giorni e cinquecento notti

impossibile

tirare sassate alla luna

per modellare le nostre serate

in cui abbiamo scoperto che anche dio canta e incide dischi

si fa chiamare bon iver

gli ho urlato che non basterebbe il petrolio di tutte le russie

per risarcire

ventimila persone in cecenia che in questo momento cercano

un figlio una sorella un padre uno zio una nonna un fratello un cugino un cognato una madre

loro stessi

seminare resistenza

nei bar degli ospedali senza sedie e tavolini

che custodiscono le storie più struggenti

molto peggio della nostra

perché poi muoiono

non basterebbe l’ oro di tutte le californie

per comprarti

tu che sei la mia luce potabile

tu che sei il mio bunker emozionale

ora che ci bombardano mia cara

tremiamo come il giappone

con il nostro romanticismo d’ asporto

come quando senza te era tutto una perdita di tempo

che ci ripetevano non saremmo sopravvissuti

perché siamo casi difficili

perché qui si gela più dentro che fuori

perché siamo gli ultimi come sergio de caprio

fondamentalmente siamo tutti figli del sud

di chi si tonificava nelle ridenti miniere del belgio

fondamentalmente non siamo altro che nipoti del sessantotto

di chi si gustava quel particolare aroma a roma

ma riusciamo ancora a capire quanto siamo nella merda

ora che anche battiato è incazzato

tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili

ora che siamo grumi di vermi che insistono sul cadavere della seconda repubblica

scarti alla riscossa

con il dilemma sulla difficoltà di avere un padre o piuttosto esserlo

prima che il signore ordinasse ad abramo di ammazzare suo figlio proprio là

sulla statale sessantuno

oggi è tempo che la gioventù si sfoghi

cantiamo le parolacce in autostrada

scambiamo gli auguri di natale con il casellante di verona nord

viviamo con le pozzanghere di polvere in casa

riflettiamo con i microchip nel cervello e i pensieri sparsi sui pavimenti in rigoroso disordine

così io e te

e le battute di caccia nei supermercati

disinfettarci le ferite con un barile di gasolio in ribasso

operarci ai sentimenti in mare aperto

piangere non è poi così facile

ma parlare con gli occhi umidi forse è il solo modo che abbiamo di comunicare

e noi due mi ricordo che siamo stati anche felici

adesso invece non impietosisce più nessuno la nostra situazione di abbandonati

di abbandonati dalle cose dal mondo da noi stessi

stare soli sotto il sole a dimostrare che siamo senza ali

e che ancora non abbiamo trovato nulla che ci protegga dall’ amore.


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