quando mi imboccavi a forza
perché dopo dieci giorni dovevo pur mangiare qualcosa
perché gli spigoli sanguinavano se li urtavo e non me ne dispiacevo poi molto
perché i miei chili pesavano meno dei miei pensieri
e le forchette spinte a forza contro la bocca che era un casello autostradale in manutenzione
il mio ritrarmi silenzioso al massimo mugugnante
che dopo minuti lenti come mari finivi per sembrarmi una madre ostinata
e così guardandoti ridevo
tu ne approfittavi per infilare quanto più cibo riuscissi in quelle frazioni di secondo lunghi fiumi
invece che ridere con me per una volta
solo una
prima che ricominciassi a urlare
quando arrabbiato guardi il mondo e ci provi a cambiare
ma tutto procede secondo piccoli cataclismi
pianissimo e con i buchi dentro poi
come le sigarette che non vorresti finissero mai
perché altrimenti ci si deve salutare
ne accenderemo una dietro l’ altra
con la fiamma della quinta alimentiamo la sesta
sacrificarsi per il prossimo
come i parti più sfortunati
così resteremo assieme per sempre
proprio qui fuori al gelo
con tumori profondi che mi dispiace non c’è più niente da fare
solo allora rimarranno pochissime cose
gli occhi malinconici di mio padre dal millenovecentosettantasei
gli occhi di mia nonna che non ho mai visto spenti dal millenovecentosettantasei
quelli di mio nonno troppo stanchi dal millenovecentosettantasei
però ci facciamo il bagno dentro noi che sembra la sardegna
andare in fondo per poi risalire
come il vomito che sento farsi spazio tra gli organi infermi
uscire naturale come le bestemmie tra i monti
e infine i tuoi occhi capienti
prima di sporcarmi
prima di sporcarti
la vita.